il piacere attraverso la storia
Esistono statuette Egizie del VII secolo a.C. contenenti peni mummificati, ed ancora, la mitologia greca contempla il Satiro e la Baccante; nel III millennio a.C. il dio sumero Enki “Signore della Terra” era un amante infaticabile, perché con le sue prestazioni popolò il “Paradiso Terrestre”.
Il padre degli dei Zeus, per i Greci, Giove per i Romani, era un amatore insaziabile, bisessuale senza inibizioni, scendeva sulla terra a sedurre donne e ninfe.
Alquanto fantasioso si aiutava con stratagemmi di zoofilia erotica.
Aveva rapito la principessa fenicia Europa sotto forma di toro e si era accoppiato a lei sotto forma di aquila; inoltre aveva sedotto la bella moglie del re di Sparta, Leda, proponendosi come un cigno.
Molto spesso i miti, anche quelli più strani, ci raccontano particolari della vita di un popolo.
Non bisogna, però, confondere il linguaggio immaginifico del mito con la realtà quotidiana, in cui la zoofilia non era una pratica comune, ma il fatto che fosse attribuita agli dei, indicava come nel sesso non vi fossero preclusioni a priori.
A Menfi, nell’antico Egitto, per evitare la sterilità, poteva accadere che vi fossero donne che si accoppiassero al toro, simbolo in terra di Apis, dio della forza fecondatrice.
Il mondo pre-cristiano, per lo meno nella sfera del sesso, era più libero e quindi più felice del mondo cristiano.
Aveva meno regole, meno tabù, nessun peccato da confessare ad un prete curioso o ad un dio vendicativo.
Non c’era nessuna Chiesa ufficiale a controllare i nostri gusti o la nostra vita privata, ma non bisogna dimenticare che la libertà sessuale era parte integrante di un mondo maschilista, che non teneva in alcun conto il mutuo piacere tra uomo e donna.
Il filosofo Seneca sosteneva che “E’ male amare la propria moglie come se fosse un’amante”.
La pudicizia era una virtù inderogabile per ogni matrona romana, che così avvallava la tendenza maschile a sfogare le passioni più sfrenate in letti che non fossero quello matrimoniale.
Questo metteva in moto un processo per cui il matrimonio era, tutto sommato, flessibile: l’uomo poteva tradire la moglie e la moglie il marito … pur che non si sapesse.
Nelle famiglie più ricche esisteva una poligamia ufficiosa senza che essa destasse scandalo.
I mariti aggiungevano alle concubine anche le prostitute e le escort dell’epoca, chiamate ad impreziosire i banchetti.
I culi formosi, non solo femminili, erano la passione degli antichi, tant’è che in una villa ad Ostia è stata trovata la scritta:”Qui, in località Callinico, ho fottuto in bocca e nell’ano”.
L’imperatrice bizantina Teodora, che prima di diventare la moglie dell’imperatore Giustiniano, era stata attrice e prostituta, lamentava la mancanza di un quarto o quinto buco, nonostante “mettesse a disposizione tutti e tre i suoi orifizi”.
In questo teatro, le donne potevano stupire i loro amanti con posizioni che da mogli fingevano di ignorare.
Restano famose la “Venus pendula”, la donna seduta a gambe larghe sull’uomo sdraiato, e la “Equis aversis”, la donna si accomodava in modo da mostrare il lato B all’amante.
Pare che gli antichi conoscessero una novantina di modi diversi di fare sesso, catalogati nell’ottocento dal filosofo tedesco Friedrich Karl Forberg.
L’orgia era una pratica conosciuta, ma non ne conosciamo la diffusione, anche se ne abbiamo moltissime rappresentazioni pittoriche.
I celebri affreschi erotici di Pompei mostrano amplessi a tre o quattro e prestazioni acrobatiche con l’ausilio di corde e maniglie; c’erano appiccicati trenini con la donna capotreno e gli uomini a seguire, oppure la donna nel mezzo penetrata davanti e nel retro.
Durante le feste in onore di Dionisio, in Grecia, o di Bacco, a Roma, i riti avevano in comune il vino, la musica ed il sesso collettivo.
Le sacerdotesse di Priapo, la divinità superdotata simbolo di forza sessuale, non avevano bisogno dei maschi perché durante i loro riti usavano simulacri di pietra di varie dimensioni, antenati dei moderni vibratori: insomma le donne potevano farlo da sole.
In Grecia le donne si masturbavano con “l’olisbos”: un fallo di legno di circa 15 centimetri, foderato di cuoio imbottito, ma c’era anche “l’olisbokollix”, il dildo grissino in pasta di pane e fatto su misura.
Gli antichi romani amavano anche sbirciare ed erano degli attenti voyeur.
Eppure, un tabù il maschio romano lo aveva: il cunnilinguo, mai avrebbe praticato il sesso orale alla sua donna, perché ne andava il suo onore.
Il poeta Marziale diceva della donna: “Teme la levatrice, adora i peccati”.