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The Queer’s Gambit: giocare a scacchi non è mai stato così fluido

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Una nuova idea e una scommessa: inventarsi un corso di scacchi al “femmineo” dedicato esclusivamente a donne, trans e gender – non conforming. The Queer’s Gambit giocando sul titolo della nota serie Neflix  basata sull’omonimo romanzo del 1983 di Walter Tevis ci riuscirà? Il corso è organizzato da Ink Club, circolo ARCI nel cuore di Bergamo offre diverse tipologie di attività ai suoi soci, si va dalla scuola di musica dove è possibile utilizzare gli strumenti presenti, metodi e accessori, trovare dischi in vinile nuovi e usati e poi seminari e workshop ed incontri a cui si accompagna un servizio bar. E poi nello stile arci, serate live e dj set per ballare. In alcuni giorni è possibile partecipare ai corsi di yoga, pole dance, milonga, e si arriva fino ai tatuaggi e ai piercing. Ma perché non organizzare semplicemente un corso di scacchi aperto a tutti? La risposta è sottile. Una ricerca dell’Università di Padova ha fatto delle strabilianti scoperte: ha preso in esame le partite di scacchi online giocate da un gruppo di donne contro un gruppo di uomini di bravura equiparabile. Nella prima session di partite le giocatrici ignoravano del tutto quale fosse l’identità e il sesso del giocatore contro cui stavano giocando, e hanno vinto circa la metà delle partite. Nella seconda session, invece è stato loro comunicato che gli avversari erano degli uomini. I ricercatori hanno riportato che le giocatrici in queste seconda session di partite giocarono in maniera meno aggressiva e cauta e di conseguenza con meno efficacia perdendo moltissime delle competizioni e vincendo circa un quarto delle partite giocate. Qualunque sia la spiegazione, il dato è sicuramente impressionante. Emerge quindi con forza l’idea che in qualche modo la creazione di un senso di sicurezza e riservatezza sia realmente proficua, se non specificamente all’apprendimento, all’espressione delle potenzialità di alcune soggettività non-maschili. Il mondo degli scacchi, è bene ricordarlo, ha una partecipazione di genere completamente sbilanciata: la stragrande maggioranza dei giocatori sono uomini, ovvero, circa l’85% del totale dei giocatori professionisti e il 94% dei giocatori complessivi. Nel corso della storia si contano inoltre solo 41 GranMaestre, di fronte alla schiacciante quantità di 2027 GranMaestri.

E all’InkClub la situazione non è diversa: la percentuale maschile anche qui è elevatissima e quella femminile completamente azzerata.  Per questo motivo l’idea di “riequilibrare” i rapporti di genere è sembrata accattivante, una vera e propria scommessa, un modo in cui far accedere persone che generalmente non sarebbero coinvolte o allontanate psicologicamente solo per l’enorme presenza maschile o addirittura “marginalizzate” come le trans, a uno sport antico ricco di fascino ed elegante come il gioco degli scacchi.

The Queer’s Gambit si propone quindi come uno spazio di sperimentazione e soprattutto di divertimento libero da giudizio e pregiudizio, nella libertà di sbagliare e di crescere creando nuovi modelli di competitività femminile e non-conforming con due obiettivi fondamentali: da una parte fornire una valida introduzione al gioco degli scacchi e alla filosofia che da sempre contraddistingue questo gioco, alle aperture più comuni e alle tattiche di base, dall’altra, più sottile ma prorompente, iniziare una riflessione sullo sport e sulla competizione al di fuori delle dinamiche patriarcali e iper-competitive. Scacco matto, lunga vita alla Regina.

Numa