Nell’antichità sesso e potere erano fortemente abbinati (ma non è così ancor oggi ?!), quindi, più potere avevi, più potevi esprimere in modo aggressivo e dirompente il tuo erotismo.
Il mondo animale si gestisce con le medesime caratteristiche: il maschio dominante o alfa si prende tutto ciò che desidera ed il potere assoluto sulla sessualità del gruppo è l’indice più certo di sovranità.
Il dominante divide il cibo con il resto del branco, le femmine no, sono solo sue.
In passato, le donne facevano parte del bottino di guerra ed i capi si sceglievano le più belle.
Le cose cominciarono a cambiare con lo sviluppo delle città stato greche, anche se l’eroe omerico Achille rimase famoso per le sue ventinove amanti, prese più o meno attraverso la forza del guerriero.
L’arte greca è piena di richiami erotici, perché certi costumi non venivano celati: cene che finivano in orge e l’amore omosessuale.
La civiltà greca introdusse delle regole non più basate sulla forza fisica, ma sul diritto.
Così il cittadino saziava la propria libido attraverso percorsi codificati.
In casa aveva la moglie che assicurava la discendenza, le schiave che procuravano il piacere ed i più ricchi avevano pure le concubine, che però non vivevano sotto lo stesso tetto della famiglia.
Una categoria speciale erano le “etère”, donne spregiudicate e potenti, che potrebbero essere assimilate alle contemporanee “Escort top class”.
Queste donne erano le sole che ad Atene potevano svolgere una vita fuori dalle mura domestiche.
Le etère erano spesso di umili origini ed attraverso la loro attività si guadagnavano la rivincita sociale, accompagnandosi con uomini facoltosi disposti a spendere cifre importanti per averle.
Per essere una di loro occorreva avere grande bellezza, ma ciò non era sufficiente se non era accompagnata da cultura, conoscenza della musica e della filosofia.
Alcune etère raggiunsero posizioni di potere notevole; Aspasia di Mileto dominava sui più influenti uomini di Stato e ispirava ai filosofi una sincera e grande considerazione.
Fu l’amante di Socrate, dopo di che fece innamorare Pericle, il più famoso politico ateniese, al quale diede un figlio e per lei lasciò la moglie.
Atene, Corinto ed Alessandria erano considerate città del piacere, meta nell’antichità di turismo sessuale.
Per i cittadini meno denarosi c’erano invece le “pornai”, le prostitute, che offrivano le loro prestazioni per strada o nei bordelli.
C’era una prostituzione omosessuale, di giovani che potevano accedere ai banchetti preclusi alle donne, disposti a svolgere il solo ruolo passivo dell’eromenòs , cioè di chi subisce l’atto sessuale.
L’uomo greco, infatti, concepiva la sessualità in termini di piacere fallico, che può essere soddisfatto non solo con le femmine, ma anche con i maschi.
A differenza di oggi, l’omosessualità non era concettualmente diversa dall’eterosessualità: in entrambi i casi si trattava di una relazione in cui il ruolo attivo era riservato a chi si trovava più in alto per genere (l’uomo verso la donna), per età (l’adulto verso l’adolescente), per status sociale (il libero verso lo schiavo).
Se a subire l’atto omosessuale era un giovane libero, la convenzione stabiliva che il contatto sessuale avvenisse soltanto tra le cosce, senza la penetrazione anale.
L’amante adulto di solito ricambiava la disponibilità del fanciullo aiutandolo nella sua formazione ed il rapporto doveva cessare quando l’adolescente passava di rango diventando a sua volta uomo.
Era considerata invece immorale l’omosessualità femminile, anche se fu la poetessa Saffo ad immortalare e celebrare il sesso fra donne.
Una svolta nel pensiero greco arrivò con la conquista del paese da parte dei romani, che livellarono le differenze tra le categorie rendendo tutti in primo luogo sudditi del sovrano di Roma.
Ci fu un livellamento nelle abitudini sessuali e le donne guadagnarono la posizione che bandiva l’adulterio anche per gli uomini, riconducendo la sessualità all’interno della famiglia ed al solo fine procreativo.
Questo scoraggiò i rapporti omosessuali e l’arrivo del cristianesimo diede fine alla promiscuità sessuale.
Giova ricordare che il puritanesimo sessuale del cristianesimo si impose su di un pensiero che aveva già modificato i costumi sessuali; infatti filosofi come Seneca, Epittèto, Plutarco e l’imperatore Marco Aurelio, già avevano sostenuto la necessità di porre argine e fine ad una sessualità come quella fino ad allora praticata.
La scuola medica di Alessandria d’Egitto, tra il I e II secolo d.C., formulò delle teorie scientifiche per cui era dannosa per la salute e la forza del corpo l’eccessiva attività sessuale.
L’eccessiva attività sessuale venne accusata di provocare malattie spaventose, come la gonorrea o la satiriasi (il corrispondente maschile della ninfomania), che portavano alla consunzione o alla follia.
Il rapporto sessuale era doveroso solo quando il corpo manifestava l’esigenza di eliminare il fluido spermatico in eccesso, senza stimolarlo con fantasie od apporti esterni.
Il modello di comportamento erotico diventò quello degli animali, che si danno al coito non perché “credono che il godimento sia un bene in sé, ma al solo scopo di espellere il seme … proprio come, credo, è per loro naturale eliminare gli escrementi e l’urina”; così scriveva il medico Galeno.
Gli eccessi, naturalmente, continuarono ad esistere e la continenza divenne la morale comune, con cui il cristianesimo si trovò in pieno accordo quando divenne la religione di Stato.