
Certo che l’Italia è un paese strano. Da una parte un governo reazionario e omofobo, in cui si santificano forze dell’ordine e famiglia tradizionale. Dall’altra poliziotti che ne commettono di tutti i colori, violando la legge che dovrebbero difendere, ma pure entrando di diritto nel folklore e nelle cronache rosa. Nel dicembre 2021 alla procura di Roma fu presentata una denuncia che riguardava alcuni agenti della polizia penitenziaria e alcune detenute nel carcere di Rebibbia. La denuncia fu presentata da una transessuale brasiliana là detenuta. L’oggetto della denuncia erano i presunti rapporti sessuali a cui alcuni poliziotti avrebbero costretto delle detenute all’interno di un settore del carcere che ospita le transessuali. Tantissimi i dettagli contenuti che dipingevano uno scenario poco professionale all’interno del carcere e, in buona sostanza, incontri piccanti tra diversi poliziotti e transessuali. La trans brasiliana avrebbe riferito di aver subito abusi sessuali da due agenti, precisando, però, che lei non sarebbe stata l’unica vittima di quelle attenzioni morbose. Ci sarebbero state altre detenute alle quali è stata riservata la stessa sorte. Non solo abusi, reali o presunti verrà stabilito dalle indagini e dal processo, ma anche altro genere di attenzioni. In particolare si sarebbe trattato di volgarità e apprezzamenti spinti che si sarebbero verificati quando alle detenute veniva concesso di prendere il sole in bikini, durante il periodo estivo. L’inchiesta della procura ha certificato, come spesso accade quando si indaga sulle forze dell’ordine, che si è trattato di un fatto isolato. La pm Claudia Terracina ha verificato le dichiarazioni della transessuale. Particolare attenzione è stata rivolta a un racconto che ha ricostruito una consuetudine: quella di approfittare delle trans. E le attività investigative in corso sembrano già aver escluso quest’ultima ipotesi, visto che alcuni dei nomi fatti dalla denunciante non si trovavano a Rebibbia al momento dei fatti. Il magistrato ha avuto conferma degli incontri tra gli agenti e le trans, ma ha pure accertato che non si sarebbe trattato di violenza, perché la detenuta era consenziente: i rapporti piccanti ci sarebbero anche stati, ma solo nel tentativo da parte della trans di ottnere un trattamento di favore atto a migliorare la sua permanenza all’interno del penitenziario. Per il giudice un reato c’è stato da parte dei due agenti indagati, ma non si tratterebbe certo di violenza sessuale, quanto piuttosto di induzione indebita. I due poliziotti ora saranno chiamati a comparire in udienza a metà dicembre per rispondere di questo capo di imputazione. Cesare Gai, l’avvocato difensore di uno dei poliziotti imputati però replica: «Il mio assistito durante l’interrogatorio ha negato di aver avuto rapporti. Inoltre non si capisce quali favori il poliziotto possa aver concesso alla denunciante». Donato Capece, segretario del Sappe, mette le mani avanti, conferma la «piena fiducia nella magistratura, ma per eventuali responsabilità di singoli non si infanghi il lavoro di un corpo che, anche sotto organico, garantisce un servizio al paese». Rebibbia era già stata teatro di simili situazioni negli anni precedenti quando in cambio di favori sessuali un altro detenuto transgender del carcere avrebbe ricevuto da un agente della polizia penitenziaria cioccolatini, sigarette e ricariche telefoniche.
Ma la cosa bizzarra e sorprendente è che nel corso delle indagini sul caso, i pm hanno scoperto, cosa che strappa un sorriso, oltre a questi comportamenti poco consoni per degli agenti che rischiano una pena severa dalla legge, anche una relazione nata dentro al carcere tra un agente e una trans che si è conclusa con i fiori d’arancio. Ma in questo caso, nessun reato. Solo una bella notizia. Congratulazioni!
Numa