Eleonora Duse e Gabriele d’Annunzio
Eleonora Duse nasce a Vigevano, in provincia di Pavia, il 3 ottobre 1858, da genitori artisti girovaghi, che la introducono immediatamente al lavoro teatrale. Infatti, sale sul palcoscenico ad appena 4 anni, interpretando il ruolo di “Cosetta” nei “Miserabili”. Da li, diventerà una delle più grandi interpreti teatrali, se non la più grande in assoluto, di tutti i tempi. Infatti, nel 1898, ancora vivente, il Teatro Brunetti di Bologna venne ribattezzato Teatro Duse. E’ la “Divina” per eccellenza, prima della Dietrich e della Garbo.
Gabriele D’Annunzio (scritto anche con la “d” minuscola) nasce a Pescara, il 12 marzo 1863, da una famiglia borghese, che sostenne da subito le sue ambizioni letterarie, inviandolo a Roma per gli studi universitari.
Insieme formano una coppia astrologica BILANCIA/PESCI, ed è la sola tra quelle fino ad oggi vista, in cui lui è più giovane di lei: ci sono cinque anni di differenza; mentre solitamente lui è maggiore a lei, con differenze anche di vent’anni ed oltre.
Il loro amore si consumò come il “Fuoco”, da cui il titolo di un romanzo di D’Annunzio, nell’arco relativamente breve di nove anni.
Fu folle e passionale, languido e tumultuoso, fisico ed intellettuale, spietato e traditore.
Il loro amore è raccontato dalle sole lettere di lei, perché quelle di lui sono state quasi tutte bruciate per volere dell’attrice.
Naturalmente, al suono di una unica campana, D’Annunzio incarna il crudele traditore; la Duse la donna in balia di una relazione che la consuma almeno quanto la tisi che la porterà alla morte.
La loro prima volta accadde a Venezia il 26 settembre 1895; lei ha 37 anni e lui 32, non è un amplesso qualunque, né sarà mai una storia banale.
Entrambi sono famosi e avvezzi ai tanti amori, ma certamente D’Annunzio è insuperabile: nel corso della sua vita, centocinquanta sarebbero state le sue amanti certe; cinquecento le amanti per brevissimi periodi; migliaia (forse quattromila) le donne che transitarono nel suo gineceo.
D’annunzio è perfettamente consapevole del valore dell’unione con la Duse e la rincorre, rifiutato, lungamente.
I due si erano incontrati la prima volta in assoluto nel 1882 a Roma, dove lui appena diciannovenne era già protagonista della “dolce vita” romana.
Il giovane scrittore scriveva per giornali importanti , tenendo rubriche da dove giudicava e descriveva l’abbigliamento delle signore della Roma che contava e queste lo rincorrevano per ottenere recensioni lusinghiere, così cominciò a riempire il suo carniere di seduttore con prede di alto livello.
La Duse a 24 anni ha già raggiunto la dimensione di grande attrice ed è adorata dal pubblico e corteggiata da personaggi come Verdi, Cechov e Chaplin.
D’Annunzio, spavaldo ed impudente, al primo incontro le chiede senza giri di parole di fare l’amore con lui.
L’attrice rifiuta sdegnata, ma con il compiacimento di annotare tra coloro che la desiderano, come scriverà nelle memorie, “quell’affabulatore dal fascino magnetico e i ricciolini biondi”.
In quel momento, l’interesse appare a senso unico: lui ad inseguire e lei la diva inafferrabile, ma sarà l’arte a farli incontrare, in un reciproco interesse intellettuale, che funzionerà da detonatore alla passione, generando un innamoramento artistico.
Eppure, in quel periodo confessò una decisa ripulsa verso il poeta, dicendo al compagno, amico, amante Arrigo Boito (famoso librettista verdiano): “Preferirei morire in un cantone piuttosto che amare un’anima tale … D’Annunzio lo detesto, ma lo adoro”.
Invece, la magia veneziana del 1898 rapisce i due che diventano amanti e prolungano l’incontro con una vacanza in Toscana.
Si scambiano lettere piene d’amore e D’Annunzio definisce la relazione “Un incantesimo solare”.
L’incantesimo non frena comunque il poeta, che ha bisogno di sempre nuove conquiste, e da insaziabile amatore annota puntigliosamente in brevi resoconti il racconto di quegli amplessi, nelle sue pagine d’autore.
Dopo il matrimonio riparatore con la duchessina Maria Hardouin di Gallese, 18 anni, abbandonata al terzo figlio, e l’appassionata relazione con Barbara Leoni, il poeta si lega ad una focosa principessa siciliana, già separata e madre di quattro figli, Maria Gravina Cruyllas di Ramacca, che gli diede una bambina.
D’Annunzio non tradisce soltanto con il corpo, ma anche professionalmente ed artisticamente la Duse, perché il dramma “La città morta”, che aveva scritto per lei, lo fa rappresentare a Sarah Bernhard, sua grande rivale teatrale.
La Duse lo lascia ma inconsolabile per aver perduto il suo grande amore, si adatta al ruolo di quella che perdona tutto.
L’accordo economico è la strada per la ripresa della relazione e D’Annunzio tiene l’amante in pugno, che diventa però anche la sua impresaria, acquistando i diritti d’autore delle sue opere.
Il Poeta spende e spande, ma paga tutto, o quasi, la Duse, che per qualche anno soddisfa i vizi e le manie di grandezza di Gabriele.
Lui, che sarà denominato “Il Vate”, le affibbia diversi nomignoli, come “Ghisola” o “Ghisolabella”, ma anche quello di “Nomade”, che è il più azzeccato, perché Eleonora passa da un teatro all’altro, da un paese all’altro; è figlia di attori girovaghi e nomade anche sentimentalmente: si è separata dal marito Tebaldo Checchi (suo collega di lavoro), dall’amante Arrigo Boito ed ha condito il suo girovagare con costanti infedeltà.
Ora, paradossalmente, è lei ad incarnare il ruolo della donna devota in attesa dell’amante scostante e perennemente in fuga.
La Duse sacrifica il suo vitalismo sull’altare di un unico amore, mentre D’Annunzio fugge con regolarità e ritorna sempre con profumi diversi.
La Musa ed impresaria, sprona il genio dell’amante perché si manifesti, produca opere alla sua altezza e non si disperda soltanto in una sregolatezza bulimica sessuale e gli scrive:”La vita scorre, afferrala nell’arte, figlio!”.
La Duse paga ogni nuova opera in denaro contante acquistandone i diritti ed inoltre fa a Gabriele continui regali e prestiti.
Lei, da ogni parte del mondo , continua ad inviare, insieme alle immancabili lettere, consistenti assegni per assecondare i lussi dell’amato.
Subisce i suoi continui tradimenti con furiose scenate, ma non va oltre e dopo la burrasca arriva sempre il sereno.
Nel romanzo “ Il Fuoco”, D’Annunzio dipinge la Duse nel personaggio della Foscarina, una bella donna non più giovane, che ama il protagonista, Stelio Effrena, fino all’annullamento di sé.
L’autore non si fa scrupoli nel descrivere con crudeltà il declino fisico dell’amante, svelandone senza pudori gelosie ed ossessioni.
E’ un colpo durissimo per Eleonora, sia come donna, sia come attrice: non ha più una intimità, è completamente nuda, davanti ad un pubblico che assiste attonito ed indignato a quello che considera un sacrilegio verso un mito.
Qui esce tutta la grandezza della Duse, in tutta la sua dedizione all’arte ed all’amore, che scrive:”Conosco il romanzo e ne ho autorizzato la stampa perché la mia sofferenza, qualunque essa sia, non conta quando si tratta di dare un altro capolavoro alla letteratura italiana. E poi, ho quarantun anni, e amo!”.
Sarà l’abitudine il preludio alla fine del loro rapporto, perché la Duse sa dei tradimenti di D’Annunzio, ma riesce a convivere con la gelosia che la consuma ma ancora non la distrugge ed è appagata dal ruolo di musa, di approdo certo nel quale l’amato ritorna sempre dopo avere saziato la sua fame di sesso.
Come in tutte le rotture definitive, la goccia che fa traboccare il vaso è la ventisettenne Alessandra Starabba Rudinì, figlia dell’ex presidente del Consiglio dei ministri; è bella, estrosa e soprattutto ricca.
E’ la primavera del 1904 ed Eleonora trova nel letto della sua camera degli ospiti, la presenza dell’altra donna e decide l’irrevocabile rinuncia alla relazione con Gabriele.
In una tarda consapevolezza, lascia soltanto un biglietto a D’Annunzio:”Prima mi pareva che avrei potuto fare per te le cose più umili ed alte, ora mi sembra di poter fare una cosa sola: andarmene, lasciarti libero con la tua sorte”.
In quel tempo D’Annunzio aveva tradito la Duse anche professionalmente, affidando una parte, che spettava a lei nel dramma teatrale “La Figlia di Iorio”, alla bella e brava Irma Grammatica.
“Tu m’hai accoppata, e con che arte, la tua!” protestò la Duse rivolta al poeta.
Ora è nuovamente lui a rincorrerla, ma lei risponde gelida.”Non ti difendere, figlio, perché io non ti accuso. Non parlarmi dell’impero della ragione, della tua vita carnale, della tua sete di vita gioiosa. Sono sazia di queste parole! Da anni ti ascolto dirle … Parto da qui domani. A questa mia non c’è risposta”.
Il poeta, in seguito, la inviterà a recitare in un nuovo dramma, ma lei fermamente rispose:”T’ho già dato tutto, non ho più niente”.
Prima di morire, il 21 aprile 1924, a Pittsburgh, durante una tournèe americana, la Duse dirà di D’Annunzio:”Gli perdono di avermi sfruttata, rovinata, umiliata. Gli perdono tutto, perché ho amato”.
Quando il poeta apprese della sua morte, sussurrò :”E’ morta quella che non meritai”.
D’Annunzio morì 14 anni dopo, l’1 marzo 1938 a Gardone Riviera, nel monumentale complesso denominato “Il Vittoriale”,
dove il busto di Eleonora Duse è l’unica effige femminile a restargli accanto fino alla fine.