Gabriele D’Annunzio fu l’autentico creatore dell’immagine di quel San Sebastiano che oggi è considerato il patrono degli omosessuali.
Gabriele D’annunzio detto il “Vate” aveva come proprio motto “Memento Audere Semper” (Ricordati di osare sempre) e sempre osò, non solo intellettualmente ma soprattutto nei confronti dei costumi.
Non fu semplicemente giornalista, poeta, scrittore, drammaturgo, politico, marinaio, aviatore e soldato, come dimostrano 1 medaglia d’oro, 5 d’argento e 3 croci al merito, ma fu l’uomo di cultura più famoso della “Belle Epoque”.
Su di lui, una certa nomenclatura culturale degli anni settanta, ha fatto di tutto per distruggerne l’immagine e darne una visione deformata; nei suoi confronti venne praticata la sistematica demonizzazione, fatta di alterazioni storiche e silenzi, dove i punti critici del personaggio venivano esaltati e le qualità taciute.
Fortunatamente, i fatti non si cancellano neppure con la calunnia o le omissioni.
La storia e le sue opere ci dicono che fu un personaggio insormontabile, al punto di superare sempre il proprio tempo anticipando correnti e pensieri che si sarebbero affermati solo dopo mezzo secolo.
Oggi parliamo di “Le martyre de Saint Sébastien” (Il martirio di San Sebastiano), che il poeta compose nel 1911 in lingua francese.
Il melodramma con musiche di Claude Debussy, ambientato nell’antica Roma, andò in scena in prima assoluta a Parigi, in quello stesso anno.
La genesi dell’opera iniziò con l’appassionata relazione che l’autore ebbe con la giornalista Olga Ossani (ribattezzata Febea).
Le fonti narrano di come nei giardini di Villa Medici il poeta si fosse denudato, ed addossato al tronco di un albero, esponendo allo sguardo di Olga i segni dei morsi e dei baci che lei stessa gli aveva provocato, in un martirio di sesso ed amore.
L’episodio si conservò nell’animo del poeta fino ad evolversi diversi anni dopo nell’opera che conosciamo.
Gabriele D’Annunzio ebbe sempre vicino a sè statue ed immagini del Santo martirizzato, tant’è che al Vittoriale degli Italiani l’iconografia è espressa in numerosi esemplari.
Il “Martyre” parte come idea da una figura femminile reale ed approda in scena con una figura femminile che interpreta un uomo, perché D’Annunzio vuole Ida Rubinstejn nel ruolo di San Sebastiano.
Ida Rubinstejn era una danzatrice russa, che in quel momento aveva una relazione con il poeta.
La Rubinstejn incarnava per lui l’ideale ermafrodito: magrissima e pallida, era nota a Parigi per la partecipazione ai balletti russi portati in Francia da Sergej Djagilev, ma era anche famosa per i suoi spogliarelli nei quali esibiva forme maschili e femminili.
Gabriele aveva dichiarato di Ida: “Rare volte fu veduto un corpo umano tanto approssimarsi all’ideal tipo dell’androgine, spogliarsi d’ogne mollezza e ridursi alla semplicità del disegno più austero. La natura e la disciplina (ginnica) hanno compiuto un tale miracolo”.
D’Annunzio dichiarò ancora che, mentre nel teatro del passato nessuno si faceva scrupolo di far impersonare delicate fanciulle dalla “grossolanità del maschio”, adesso tutti sono scandalizzati dal fato che Ida Rubinstejn ricopra il ruolo di un ragazzo.
Il melodramma è rappresentato in cinque scene ed all’interno della terza emerge un’antica predilezione che l’imperatore Diocleziano ha per il giovane arciere, che lo stesso monarca aveva elevato giovanissimo a comandante degli arcieri imperiali
La predilezione non manca di ambiguità ed ammirazione per le forme del corpo di Sebastiano.
Il martirio si consuma nel bosco sacro di Apollo dove il Santo è legato seminudo al tronco di un lauro, come fece D’Annunzio quando esibì le ferite d’amore all’amata Febea.
Va detto che una vena di sadomasochismo è percepibile in tutta l’opera per l’insistenza con cui Sebastiano implora il martirio, atteso come un piacere.
Questi elementi hanno fatto si che il Sebastiano dannunziano è andato incontro negli ultimi anni ad un processo di elevazione a icona espressamente omoerotica.
A partire dagli anni ’80, San Sebastiano è riconosciuto dai cattolici omosessuali come il loro santo patrono.
Eppure, l’Arcivescovo Lèon-Adolphe Amette bollò immediatamente l’opera come blasfema ed ancor prima della messa in scena, il “Martyre” comparve nell’Indice dei libri proibiti.
Altre messe all’Indice seguirono nel 1928, nel 1935 e nel 1939.