Condividiamo il bellissimo articolo di Associated Press di Teheran pubbicato da rainews.it che parla di come una fatwa (legge) promulgata trenta anni fa dallo stesso Ayatollah Khomeini proteggerebbe le trans, che però vivono ancora come reiette, in una società dove l’omosessualità è un reato che prevede la pena capitale.
La storia di Nahal, 19 anni di Teheran è emblematica delle contraddizioni drammatiche in cui si trovano a vivere le persone transgender in Iran, una teocrazia sciita in cui l’omosessualità è un reato che può costare la pena di morte mentre una fatwa emanata 30 anni fa dallo stesso Ayatollah Khomeini richiamava la rispetto per le persone transgender, aprendo la strada al sostegno pubblico per la chirurgia del cambiamento di sesso.
A trent’anni di distanza tuttavia, tra tutti, proprio questo decreto religioso emanato dal fondatore stesso della Repubblica Sciita sembra essere lontano dall’essere accettato e praticato nella società.
Nahal, incontrata da un reporter di Associated Press di Teheran, racconta come sia stata costretta ad abbandonare il liceo schiacciata dalla pressione dei suoi compagni di classe che volevano si vestisse da uomo. La sua stessa famiglia l’ha rifiutata: “Non vedo più i miei parenti“, dice “Forse sono il segno che, se i tuoi figli avranno un problema simile, puoi accettarlo.”
“Che lo curi Iddio!”
Eppure non avrebbe edovuto essere questo il destino di Nahal nella Repubblica Islamica. Apparentemente può essere sorprendente sapere che proprio l’Iran tra i paesi del Medio Oriente a guida islamica ha forse la mentalità più aperta nei confronti delle persone transgender.
Trenta anni fa fu proprio Il fondatore della teocrazia sciita, l’ayatollah Ruhollah Khomeini, a emanare una fatwa che chiedeva rispetto per le persone transgender.
La storia di come nacque, pochi anni dopo la rivoluzione del 1979, questa decisione del supremo leader religioso vide protagonista Maryam Khatoonpour Molkara, una transgender che riusci a farsi largo, in abiti maschili, tra le guardie per incontrare Khomeini a cui spiegò come sentiva che il suo vero sesso fosse diverso dal suo sesso fisico.
Dopo aver consultato alcuni medici, Khomeini approvò la chirurgia di transizione di genere. L’attuale leader supremo dell’Iran, l’ayatollah Ali Khamenei a conferma della fatwa, diede in seguito a Molkara, morta nel 2012 a 62 anni, un velo nero per riconoscerla ufficialmente come donna.
Ciononostante, la gente comune continua a molestarle e maltrattarle, e le famiglie spesso le evitano. La discriminazione sul posto di lavoro ha indotto poi alcune alla prostituzione e altre a uccidersi. “Le persone per strada, dice Nahal quando mi vedono dicono: ‘È un uomo o una donna? Che lo curi Iddio!‘”
Basta che sia etero
Proprio la questione della cura è la chiave che chiarisce l’apparente contraddizione. Dal punto di vista dei chierici al potere, la chirurgia di cambiamento del sesso mira a curare una “malattia” e reintegrare una persona nel binario riconosciuto e rassicurante che conscepisce solo il sesso maschile e il sesso femminile, entrambi rigorosamente etero.
Coloro che invece non si sottopongono all’intervento chirurgico per ottenere nuovi documenti possono essere arrestati dalla polizia poiché si vestono in modo da contraddire il genere riconosciuto dal governo.
In base allo storico decreto religioso le persone transgender possono andare in tribunale e ricevere il permesso ufficiale per l’intervento chirurgico dopo aver passato esami medici dettagliati e un colloquio con uno psichiatra.
Una volta accolta la domanda possono ricevere nuovi documenti di identità e aiuti finanziari per la chirurgia. Il governo iraniano concede prestiti alle persone transgender per un valore di circa 1200 dollari, una somma che copre solo parzialmente i costi dell’intervento che vanno dai 7mila ai 12mila dollari.
A febbraio, l’Organizzazione per il Welfare di Stato in Iran ha reso noto che 3mila persone negli ultimi 15 anni hanno presentato domanda di sussidio per il cambio di sesso. Habibollah Maoudi Farid, vice direttore dell’organizzazione, ha dichiarato all’agenzia semi-ufficiale ISNA che circa 70 persone all’anno richiedono il prestito.
Nonostante questo quadro normativo relativamente favorevole, anche nella capitale Teheran, politicamente più liberale del resto del Paese, gli iraniani rimangono molto conservatori riguardo alle questioni di genere.
“Avere una vita sociale è difficile – tra abusi verbali e fisici e molestie“, racconta Nahal. “Una volta anche io sono stata attaccata e picchiata da un gruppo di persone.”
Un’aggressione che ha ispirato Sanaz Bayan, un giovane regista, a realizzare “Blue Pink“, uno spettacolo teatrale che illumina gli angoli più bui della vita delle trans in Iran. “Più di 30 anni sono passati da quando l’Imam Khomeini ha emesso la fatwa … Trenta anni sarebbero più che sufficienti per implementare e realizzare una regola,” dice Bayan all’AP, “Ma la nostra società non è capace di accettare le minoranze“.
“In Iran a Teheran non abbiamo omosessuali…”
Secondo alcune stime degli 80 milioni di abitanti in Iran, circa 50.000 persone sono transgender, ovvero che la loro identità di genere non corrisponde al sesso o al sesso che è stato assegnato loro alla nascita. La relativa apertura mentale dimostrata nei loro confronti dal clero al potere non vuol dire infatti tolleranza rispetto alla diversità di genere. L’omosessualità è e rimane illegale. Gli omosessuali possono essere condannati a morte, le lesbiche possono subire la fustigazione dopo tre condanne e alla quarta essere giustiziate.
Molti ricordano il celberrimo intervento dell’ex presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad alla Columbia University di New York nel 2007 quando si vantò: “In Iran non abbiamo omosessuali come te nel vostro paese”.
Nel 2010 un rapporto di Human Rights Watch denunciava gli abusi delle forze di sicurezza iraniane sulle persone sospettate di essere LGBT.